Alcune riflessioni sulla campagna elettorale 2013
di Oliviero Ponte di Pino
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Ciò nonostante, la cultura non è
davvero entrata nel dibattito sul futuro del paese:
Nell'ultimo mese, dice l'archivio
Ansa, Mario Monti si è guadagnato 2.195 titoli dei quali due abbinati alla
cultura, Berlusconi 1.363 (cultura: zero), Bersani 852 (cultura: uno), Grillo
323 (cultura: zero), Ingroia 477 (cultura: zero), Giannino 74 (cultura: zero).
Vale a dire che in totale i sei leader in corsa hanno avuto 5.284 titoli di cui
solo 3 (tre!) che in qualche modo facevano riferimento alla cosa per la quale
l'Italia è conosciuta e amata nel mondo. (Gian Antonio Stella, “Corriere della
Sera”, 2 febbraio 2013)
Gaetano Pesce, L'Italia in Croce,
2011.
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Tutti ammettono che la cultura
rappresenti un settore strategico per l’identità nazionale e la crescita
civile, ma all’atto pratico viene considerato un lusso, una spesa voluttuaria,
un’attività di piantagrane che è meglio rendere inoffensivi. Dunque è la prima
voce da tagliare: la spesa pubblica nel settore della cultura è drammaticamente
calata in questi anni: rappresentava lo 0,39% del Pil prima del 2008, siamo ora
allo 0,11%, mentre la Germania investe nel settore l’1,35% del PIL; in termini
di spesa pubblica, siamo a un misero 0,19% del totale. La tendenza è chiara, i
risultati si vedono: nelle classifiche internazionali, l’Italia scivola da anni
all’indietro...
Perché la cultura è un settore
strategico anche per l’economia e lo sviluppo, e senza istruzione, ricerca e
cultura nel mondo globalizzato non può esserci sviluppo. Gli occupati nel
settore artistico-culturale sono 585.000, che salgono a oltre 1,4 milioni
considerando l’intero comparto della “industria culturale e creativa”. Gli
occupati nel comparto biblioteche, archivi, musei e altre attività culturali:
circa 38.000 persone tra cui pochissimi «giovani», visto che l’età media del
personale è di 58 anni. Una indagine commissionata nel
2009 da Unioncamere e Symbola ha stimato che il comparto culturale valga il
5,4% del Pil italiano, ma dando una definizione estensiva del sistema delle
filiere culturali e creative si arriverebbe al 15%.
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Il problema è che non sappiamo
valorizzare questa straordinaria risorsa, nemmeno in funzione turistica. Il
rapporto di PricewaterhouseCoopers “Il valore dell’arte: una prospettiva
economico – finanziaria” (http://www.pwc.com/it/it/publications/press-rm/docs/pr-PwC-il-valore-arte-2009.pdf)
evidenzia un forte gap competitivo nel ritorno economico del patrimonio
artistico-culturale italiano rispetto agli altri paesi e una scarsa capacità da
parte del Sistema Italia di sviluppare il potenziale del nostro paese: il RAC,
un indice che analizza il ritorno economico degli asset culturali sui siti
Unesco, mostra come gli Stati Uniti, con la metà dei siti rispetto all'Italia,
hanno un ritorno commerciale pari a 16 volte quello italiano; il ritorno degli
asset culturali della Francia e del Regno Unito è tra 4 e 7 volte quello
italiano.
E’ ovvio che non è possibile
ridurre la cultura ai suoi aspetti economici, ma questi sono segnali troppo
forti per essere ignorati. Siamo di fronte a un disastro, testimoniato da mille
altri indizi: i teatri che chiudono, Pompei che si sbriciola, i musei che
tengono i capolavori nelle cantine, l’università che perde iscritti... 
- il Manifesto per la cultura del
"Sole 24-Ore", lanciato nella primavera 2012: è l’iniziativa di
maggior respiro, e la più clamorosa, anche perché vede l’impegno del quotidiano
della Confindustria; gli imprenditori italiano hanno dunque compreso –
sembrerebbe – il valore della cultura per l’economia e lo sviluppo; peccato che
un governo certamente affine come quello presieduto da Mario Monti non abbia in
alcun modo accolto questa indicazione; e che anzi il suo Ministro per i Beni
Culturali, Lorenzo Ornaghi, sia stato considerato uno tra i meno efficaci degli
ultimi decenni;
- il Manifesto per la
sostenibilità culturale promosso da Monica Amari (autrice del saggio omonimo
edito da Franco Angeli, Milano, 2012) attraverso il sito
www.sostenibilitaculturale.it/: richiede un allineamento a livello europeo dei
finanziamenti ai processi culturali basato su un minimo percentuale (1% del
PIL) obbligatoriamente imposto, sulla scorta del modello del patto di stabilità
e crescita: «Siamo figli di un vulnus, che risale al trattato europeo di
Amsterdam del 1997, quello che istituì tre pilastri su cui poi si sarebbe
basata la politica dei fondi europei negli anni a venire: i tre pilastri furono
la sostenibilità ambientale, quella economica, e quella sociale. Non fu
enunciata la sostenibilità culturale».
- la proposta di legge sul libro
e sulla lettura, lanciata nel novembre 2012 a BookCity Milano dall’Associazione Forum
del Libro: “intendiamo portare avanti questa iniziativa insieme a tutti gli
attori della filiera del libro, dagli autori ai lettori, dai bibliotecari agli
insegnanti, dai librai agli editori, e a tutti coloro, singoli o associazioni,
che sono impegnati sul terreno della promozione della lettura, cui chiediamo di
collaborare alla elaborazione delle proposte, arricchendole col loro
contributo, di unire gli sforzi e coordinare le iniziative, e di vigilare su
come il nuovo Parlamento lavorerà su questi temi”;
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- le Primarie della Cultura
(ww.primariedellacultura.it) lanciate dal FAI (Fondo Ambiente Italiano) nel
gennaio 2013: quindici proposte, con la richiesta ai cittadini di sceglierne
tre, votando via internet, per farle inserire nei programmi elettorali delle
varie forze politiche; hanno votato decine di migliaia di cittadini, la
proposta che ha ottenuto maggiori consensi è quella di destinare almeno l'1%
dei soldi pubblici alla cultura, in linea con quanto accade in altri paesi
europei (la stessa proposta era stata lanciata alle Buone Pratiche del Teatro a
Mira nel 2005 dalla webzine Ateatro
(http://www.trax.it/olivieropdp/buonepratiche.asp), senza particolare esito);
- il manifesto “Ripartire dalla
cultura”, lanciato da diverse associazioni (tra cui Federculture, Aib, Icom,
Fai, Legambiente, Italia Nostra, Mab, Anai, e ANCI, Upi, Conferenza delle
Regioni, Touring Club, Federturismo) il 14 gennaio 2013 e ripreso sulle pagine
della “Repubblica” il 16 febbraio 2013
(http://www.repubblica.it/speciali/politica/elezioni2013/2013/02/15/news/appello_associazioni_alla_politica_ripartire_dalla_cultura-52556479/);
ha prodotto “Cinque punti” da far sottoscrivere ai candidati alle elezioni;
- la proposta di istituire “un
vero ministero della Cultura”, lanciata da Ernesto Galli della Loggia e Roberto
Esposito: “La crisi in cui è entrata l'Italia con l'inizio del XXI secolo non è
(o non è solo) una crisi economica, politica, istituzionale e quindi sociale. È
prima di tutto una crisi d'identità e cioè in definitiva una crisi culturale. È
innanzi tutto venuto meno, infatti, quel fattore costitutivo di ogni identità
personale e collettiva che è la consapevolezza di ciò che lega e, legando,
tiene insieme cose differenti”. La creatività, la produzione di cose materiali,
spiega Galli della Loggia, “non nasce dal nulla. Discende per mille tramiti da un
articolatissimo substrato di gusto, di sensibilità, di idee. Nasce dalla
cultura. (..) Solo appropriandoci nuovamente di questo patrimonio, solo
ripensandolo e rianimandolo di propositi nuovi, sarà possibile riprendere il
cammino uscendo dalla paralisi odierna. Sarà possibile rimettere al centro
dell'attenzione il significato e il destino della nostra vita collettiva.
Aprirci al futuro.” (“Corriere della Sera”, 28 gennaio 2013);
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- la Lettera aperta sul futuro
della cultura, pubblicata sull’Huffington Post il 5 febbraio 2013
(http://www.huffingtonpost.it/massimo-bray/la-cultura-prima-di-tutto_b_2623041.html),
con l’obiettivo di «attirare l’attenzione della politica sulla necessità di un
Ministero che si occupi anche del sostegno del contemporaneo in tutte le sue
espressioni creative. L’idea di impresa culturale è centrale: un’impresa che
produce lavoro, ricchezza e, in più, materia per riflettere e per essere (con
tutte le sue sfaccettate differenze e pluralità) (...) Un punto essenziale,
forse primario, nell’agenda del nuovo Ministero potrebbe/dovrebbe essere (...)
quello di constribuire a fissare le regole per una defiscalizzazione delle
sponsorizzazioni per le attività culturali»;
- la Lettera aperta ai candidati
alle elezioni politiche 2013 che chiede “Un voto per promuovere la lettura”
(http://legge-rete.net/e-leggiamo/), lanciata nel febbraio 2013;
- la riflessione sulla cultura
come bene comune, condotta in particolare al Teatro Valle Occupato, con la
consulenza di giuristi come Stefano Rodotà; il 14 febbraio la Commissione
Rodotà, istituita nel 2007 al fine di studiare la riforma delle norme del
Codice Civile in materia di beni pubblici
(http://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_12_1.wp?previsiousPage=mg_1_12_1&contentId=SPS47624),
si è riunita proprio al Teatro Valle Occupato per proseguire il lavoro iniziato
sei anni fa;
- le dieci “Riforme a costo zero”
del Centro studi Silvia Santagata-Ebla (www.css-ebla.it), che sta monitorando
per “Il Sole 24 Ore” i programmi della varie forze politiche e associazioni in
questa campagna elettorale.
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Al di là del “collo di bottiglia”
della sostenibilità economica, bisogna però notare che nell’elenco compaiono
proposte assai diverse nelle intenzioni, negli ambiti di intervento e negli
obiettivi; e che queste proposte non sono necessariamente compatibili tra loro.
Molte di esse hanno suscitato un abbozzo di discussione, che però è rimasta
confinata agli addetti ai lavori (o meglio, alla cerchia di riferimento, più o
meno ampia, di ciascuno dei proponenti). L’eco nel dibattito politico è stato
pressoché nullo, anche perché non si è sviluppata una discussione comune, per
verificare la compatibilità delle proposte (e delle loro fonti di ispirazione).
Di fronte a un panorama così
frastagliato, la politica può limitarsi a lanciare – se va bene – parole
d’ordine nobili, generiche e condivisibili da tutti. E poi il Palazzo può
continuare a gestire il settore così come ha fatto finora: tagli progressivi
dettati da necessità inderogabili; finanziamenti gestiti in maniera spesso
clientelare, attraverso meccanismi corporativi; vuoto assoluto di
progettualità, se non quella dettata dalle emergenze.
Senza un fronte comune in grado
di coniugare sviluppo e cultura, di proporre e verificare le “buone pratiche
della politica”, le singole proposte – tutte dettate dalla più sincera buona
volontà e in sé meritevoli – rischiano di rimanere velleitarie. Una casta
impermeabile alle sollecitazioni della società civile, in questo come in altri
ambiti, continuerà ad andare per la sua strada, senza timori di inciampi.