domenica 17 febbraio 2013

PASSANDO PAROLA: RUBIAMO A DARIO FO


RUBIAMO, E QUINDI CONDIVIDIAMO, CON PIACERE,
A DARIO FO, PASSANDO PAROLA:
 
In ognuno dei paesi della Scandinavia si spende quattro volte di più di quanto succeda da noi. Il numero delle persone locali che va a visitare un museo, una cattedrale o partecipa a una manifestazione culturale in Italia si ritrova ancora agli ultimi posti della classifica, e la cosa è stupefacente quando si pensa che sono migliaia i borghi e le città italiane che possono offrire un gran numero di luoghi d’arte di grande valore, ma il 50% e più di quelle popolazioni non è nemmeno informata su quello che possiede.

Nella Francia del XVII secolo il primo spettacolo con cambi di scena a vista fu impiantato dai nostri comici dell’arte nel teatro del Palazzo Reale di Enrico IV a Parigi dove il palcoscenico era stato smontato completamente per ricostruirci tutte le nuove strutture in uso dalla graticcia alle quinte fino agli scorrevoli per le fiancate e le scenografie.

Il pubblico che gremiva il salone del re rimase attonito osservando una scena di bosco che si trasformava, con rapidità inaudita, in un palazzo a più piani e di lì a poco, in una nave a grandezza quasi naturale che navigava fra le onde. Sulle tavole del gran palco si esibivano maschere dagli abiti sgargianti e personaggi femminili che non erano interpretati da ragazzi travestiti – come allora era in uso in tutta Europa - ma da donne vere che per dimostrare la loro autentica natura con pretesti comici spesso si spogliavano nude in scena. Che teatro!
La maschera di Arlecchino fu inventata proprio a Parigi in quegli anni e veniva interpretata da un attore che si chiamava Tristano Martinelli, di mestiere giovane notaio. Si scriveva i testi da sé e pubblicò un saggio famoso dal titolo “Composizione della Retorica”. Egualmente il capocomico della compagnia era un letterato: Francesco Andreini, scrittore e filosofo. Anche Isabella, sua moglie, bellissima... che fece innamorare di sè il re – anche lei si scriveva i testi da sola.
E numerosi altri attori erano scienziati e musici nella compagnia: questo per sfatare il luogo comune che i comici dell’arte fossero attori scavalcamontagna, guitti di bassa cultura dotati solo di un gran senso del teatro.
Scaramouche, maestro di Molière, era anche musico in grado di suonare tutti gli strumenti in voga nel ‘500. Dagli ottoni alle viole, dalle chitarre ai flauti. E naturalmente scriveva opere musicali che poi riusciva a eseguire da solo, passando da uno strumento all’altro. (grammelot)

Oggi, molti ragazzi e ragazze, si cimentano nel mestiere del commediante badando soprattutto alla dizione, alla vocalità e al gestire; e spesso dell’autore e della ragione che l’ha portato a scrivere quel testo sanno poco o niente. Ci sono sì alcune accademie di teatro come la Paolo Grassi di Milano, che si preoccupano di formare culturalmente i giovani che lì si preparano a montare in scena. Lo stesso avviene alla scuola Silvio D’Amico di Roma e all’Accademia Nico Pepe di Udine ma sono solo casi eccezionali. Bisognerebbe imparare da certe scuole d’Europa dove l’attore è condotto ad essere informato non solo su quello che va recitando ma sulla situazione politica, culturale religiosa del paese in cui si svolge l’opera e dell’autore, soprattutto, che l’aveva composta. Come si può mettere in scena e recitare l’Amleto, per esempio, se non ti accorgi che la soluzione di ambientare l’opera in Danimarca, fu soltanto uno scaltro espediente di Shakespeare per poter trattare della situazione che si viveva in Inghilterra senza cadere nelle maglie della censura? E’ ovvio che l’intento era poter trattare liberamente della corte di Elsinòre per raccontare di Londra, della sua regina, della sua corte e delle basse manovre di potere che là si orchestravano. Ma ancora bisogna essere informati sui conflitti sociali e politici del tempo, sulla cultura, sui movimenti, sulle trasformazioni, la tensione sociale e il linguaggio dei protagonisti. Inoltre, essere informati del fatto che nella corte inglese e nelle università di Cambridge e Oxford si parlava correttamente il francese e anche l’italiano e che in quel tempo si stava compiendo proprio una trasformazione culturale senza eguali. Forse è la prima volta che il nome di una regina è legato a un movimento culturale, infatti la poesia e il teatro che là si producevano venivano comunemente definiti elisabettiani. Gli autori famosi che mettevano in scena ogni anno in Inghilterra commedie tragedie e satire erano più di 50. A questi bisogna aggiungere gli autori che preferivano rimanere anonimi e gli altri di cui si sono perduti i testi e anche i nomi.

 Egualmente numerosi erano i teatri che rinnovavano il loro repertorio per un pubblico straordinariamente vasto, nello stesso tempo in gran numero erano gli spettacoli e le compagnie che li mettevano in scena. Tutti gli intellettuali, malgrado “l’assoluta tolleranza” dichiarata dal potere, si trovavano spesso nelle carceri a scontare anni di galera per aver offeso la dignità dei regnanti trattando delle loro malefatte sia sul piano delle appropriazione indebite che della falsa morale che esprimevano. Fra questi c’erano Marlowe, Johnson e Shakespeare al quale, in seguito alla messa in scena di Misura per misura, il re Giacomo I ordinò di non scrivere più alcun testo di teatro se non voleva rischiare la vita.
E a proposito del coinvolgimento c’è un particolare atteggiamento che esprimono molti intellettuali che si atteggiano ad eruditi; mi capita spesso di sobbalzare ascoltandoli pronunciare sentenze come questa: “L’arte deve essere al di sopra delle parti e soprattutto chi fa teatro deve evitare ogni coinvolgimento politico e morale di sorta nel suo operare”.
Costoro dimostrano di vivere immersi in un beato clima di presunzione e di ignoranza soprattutto riguardo alla struttura scenica delle opere teatrali. Basta dare una sbirciata alla storia del teatro cominciando dai greci per scoprire che tutte le antiche opere satiriche che ci sono pervenute a cominciare da Aristofane a finire con Luciano di Samosata hanno come base degli avvenimenti raccontati una profonda drammaticità politica.

L’esempio più convincente è senz’altro quello de Le donne al parlamento scritto, recitato e cantato da Aristofane e dalla sua compagnia. La commedia prende l’avvio da una strage subita dall’esercito ateniese nella guerra contro la città di Siracusa: gli ateniesi vengono battuti e nella ritirata via mare le loro navi in fuga vengono affondate e i pochi uomini che tentano di salvarsi a nuoto saranno trafitti uno ad uno dagli arcieri siculi. Le spose e le madri di Atene preso atto che nella città fra i maschi erano rimasti soltanto bambini e vecchi, decisero di salire tutte insieme al Parlamento e creare un governo di sole donne. “Di certo – gridavano a gran voce - saremo in grado di fare meglio di loro, dei nostri uomini, che hanno portato se stessi alla morte e la città alla rovina.
La prima legge che noi voteremo all’unanimità sarà quella che delibera che tutti i possedimenti ed il denaro saranno messi in comune e amministrati da noi donne."
Ogni guerra verrà bandita e, cacciato dalla città ogni abitante che pretenda la creazione di una difesa militare. “Certo - disse una delle donne più ascoltate - si comincia sempre col preoccuparsi della difesa, poi si crea un nemico e si invade la sua città prima che lui faccia egualmente con la nostra"...
 e ZAC! siamo di nuovo alla strage! Chi sosterrà il motto che ‘dobbiamo difendere la pace quindi prepariamoci alla guerra’, non avrà più diritto di parola nei pubblici dibattiti per tutta la sua vita. L’atto fondante di tutta la nostra società sarà l’amore. Sceglietevi la sposa o lo sposo che volete ma senza corruzione in denaro e altre truffalderie.
Ognuno dovrà saper leggere scrivere e far di conto, a cominciare dalla più tenera età...
Il canto e la danza saranno parte fondamentale della nostra vita, danzeremo nei matrimoni, nei battesimi e perfino nei funerali... ognuno imbracci il proprio strumento e guai chi stona!”

Quello che abbiamo registrato non tenetevelo per voi, ma passate parola, passate parola.....